Conosciamo San Paolo/1

Conosciamo San Paolo/1

Paolo

Paolo di Tarso

Paolo, giudeo della diaspora

Per la prima volta Paolo appare sulla “scena biblica” del NT in At 7, 58-8,3, col nome aramaico di Saulo (dal nome del re Saul), che significa “interpellato, chiamato in causa” (“Paulus/Paolo” è il cognome romano). Qui Saulo è presentato come colui che custodisce i mantelli dei lapidatori di Stefano, che approva la sua esecuzione ed è intento a smantellare la Chiesa di Gerusalemme perseguitando con perquisizioni e arresti i giudeo-cristiani di quella comunità. Saulo è nato a Tarso (forse nel 5 d.C.) della provincia romana di Cilicia, una città di 300.000 abitanti, famosa per le scuole filosofiche, in particolare per quella stoica. Nato da genitori ebrei del giudaismo della diaspora (giudei che volontariamente erano andati a vivere fuori della Palestina), appartiene al movimento religioso dei farisei (riconoscimento della Torah orale e della Torah scritta, la fede nella risurrezione, rigidità nell’osservanza del sabato, delle leggi di purità e di altre prescrizioni della Torah) e si forma a Gerusalemme presso la scuola del famoso rabbino Gamaliele (era fariseo e insegnò a Gerusalemme tra il 25 e il 50 d.C.), figlio o nipote del più famoso rabbino Hillel, il quale ebbe un ruolo importante nella formulazione di criteri esegetici per l’interpretazione della S. Scrittura.

Saulo, inoltre, eredita dalla sua famiglia la cittadinanza romana, che implicava l’acquisizione di vari privilegi: il diritto ad un processo equo, l’esenzione da pene ignominiose (ad es. la flagellazione), il diritto di sottrarsi alla giurisdizione di una corte minore per appellarsi alla corte dell’imperatore a Roma. Prima di aderire al cristianesimo fu un attivo persecutore della Chiesa.

Saulo-Paolo, quindi, appartiene a tre mondi distinti: al giudaismo, per quanto riguarda la religione; per quanto riguarda la lingua e una certa integrazione culturale all’ellenismo; politicamente all’impero romano, del quale era cittadino. Può essere definito un cosmopolita.

Saulo-Paolo presente alla lapidazione di Stefano (At 7,58-8,3)

Stefano fa parte del gruppo dei Sette Diaconi (At 6,1-6), giudei di cultura greca, eccetto uno, Nicola, che è un proselito originario di Antiochia, cioè un pagano che si era convertito al giudaismo e poi aveva aderito al movimento cristiano. I Sette, dei quali Stefano è il primo ad essere scelto, svolgeranno la loro diaconia non soltanto curando il “servizio delle mense”, cioè l’impegno nei confronti dei poveri, ma anche il “servizio della Parola”, vale a dire l’evangelizzazione nell’ambito dei giudeo-cristiani ellenisti. E così – annota Luca in At 6,7 – che la Parola di Dio cresce e fa crescere, qualitativamente, la Chiesa.

Stefano, impegnato nella evangelizzazione come “servo della Parola”, viene accusato dai giudei della diaspora, e in particolare proprio dai giudei ellenisti, di essere un bestemmiatore contro il Tempio, il Luogo Santo, e contro la Legge, e quindi contro Dio e contro Mosè. È accusato falsamente come Gesù, è assimilato alla sua persona; e come Gesù, viene arrestato e condotto davanti al sinedrio (At 6,11-14).

La difesa di Stefano è una esortazione profetica: parla a nome del Dio d’Israele («il suo volto come quello di un angelo»: At 6,15). Mentre pronuncia il suo discorso, il più lungo tra tutti i discorsi riportati negli Atti degli Apostoli, Stefano rivive la storia del popolo di Israele, muore come testimone della Gratuità (la Grazia) di Dio e contempla e proclama la Presenza vivente della signoria del Figlio dell’uomo che sta alla destra del Padre.

Nel suo discorso profetico (At 7) Stefano, ripercorrendo la storia della salvezza, fa memoria dei rapporti passati tra Dio e il suo popolo: nella prima parte del racconto evidenzia la promessa fatta ad Abramo, il rifiuto e il riconoscimento del patriarca Giuseppe, la missione di Mosè e il suo incontro con Dio; nella seconda parte mostra come il disegno di Dio viene misconosciuto: Mosè viene rinnegato, il servizio al Dio unico viene pervertito con l’idolatria e l’esilio Babilonese, il popolo viene privato della Presenza di Dio nel Tempio perché Dio non abita in dimore fatte dagli uomini e perciò va ad abitare in altri luoghi per realizzare il suo disegno di salvezza.

È questa per Dio l’unica scelta possibile al fine di superare il rifiuto dell’uomo: una scelta che ha il sapore del perdono gratuito e non della ritorsione e del castigo. E infatti Stefano, prima di morire perdonando, esorta il popolo a “custodire” la memoria della storia della salvezza, affinché sia in grado di “leggere” e discernere la situazione presente, dove realmente la Presenza di Dio sta ponendo la sua dimora in luoghi diversi: in Samaria (At 8,5), sulla strada di Gaza che conduce in Egitto (At 8,26), ad Azoto (At 8,40), sulla strada di Damasco (At 9,3), a Damasco (At 9,10.19), a Lidda (At 9,32), a Giaffa (At 9,36) e a Cesarea dove il vangelo viene annunciato ad ogni uomo (At 10.1).

È il cammino di crescita della Parola di Dio e della Chiesa sulle strade del mondo (At 9,31); cammino, partito dall’evangelizzazione dei Sette Diaconi (At 6,7) e reso fecondo dal martirio di Stefano, il cui sangue (At 22,20) diventa seme per una ulteriore semina del vangelo: notare che Luca sembra mettere in relazione la dispersione/disseminazione dei cristiani di Gerusalemme (At 8,1.4), con la sepoltura di Stefano (At 8,2) e con l’annuncio della Parola da parte dei dispersi/disseminati (At 8,4) e del diacono Filippo (At 8,5).

Dentro questo contesto si colloca la vicenda di Saulo-Paolo, il quale da persecutore, presente alla lapidazione di Stefano, dopo l’evento di Damasco diventerà perseguitato – come Stefano – a motivo del Signore.

L’evento di Damasco (At 9)

L’evento sulla strada di Damasco, dove Saulo fa l’esperienza dell’incontro con il Cristo Risorto e Vivente, è per il persecutore, un evento di conversione e di vocazione profetica. Siamo nel 35 circa d.C.

a) È evento di conversione: non nel senso che da non-credente diventa credente, né che passa da una religione ad un’altra religione (non bisogna dimenticare che per tutto il I secolo il cristianesimo era considerato un movimento interno al giudaismo), ma che, dopo il fallimento del peccato, “ritorna a Dio” e al rapporto di Alleanza di amore con Lui, rapporto che ora è chiamato a vivere nella fede del Messia Gesù, il Risorto Vivente.

Qual è il peccato-fallimento di Saulo-Paolo? È il suo essere un persecutore e un violento, il suo essere troppo sicuro di sé e chiuso alle imprevedibilità dei disegni di Dio, a causa di una visione troppo rigida della Torah/Legge che, paradossalmente, allontana da Dio.

Tale fallimento è rappresentato dalla “caduta a terra” (At 9,4) e dalla “cecità” (At 9,8.9): è avvenuto che la Luce della presenza del Risorto ha “ribaltato” la sua esistenza, ha frantumato le sue sicurezze, lo ha disarmato, lo ha reso “debole” e ha “accecato” il suo modo attuale di vedere la Torah e la fede dei padri, per acquisire con un’altra prospettiva – quella del Messia Gesù – il modo di “vedere” la Torah, la fede dei padri e il nascente movimento cristiano.

Questo movimento di conversione, di “ritorno” al Dio dell’Alleanza è suscitato non dal pentimento di Saulo, ma dalla iniziativa libera, imprevedibile e gratuita dell’incontro con il Cristo Risorto sulla strada per Damasco (le vie imprevedibili della Presenza di Dio… cui accennava Stefano). Ed è veramente l’esperienza di un incontro interpersonale: «Saulo, Saulo…» – «Chi sei, o Signore?» – «Io sono Gesù…».

Tutta la persona di Saulo ne viene coinvolta: ascolto e visione, mente e cuore, interiorità e corporeità; dove nell’ascolto Saulo comincia a comprendere che il Messia Risorto è presente nei perseguitati, nei deboli, in coloro che sono disarmati, nonviolenti, in coloro che stanno imparando a camminare sulle Vie del Vangelo (At 9,2; 18,25-26; 19.9.23; 22,4; 24,14.22), cioè ad assumere lo stile di vita del Messia Gesù che è la Via (Gv 14,6).

E, posto in una condizione di estrema debolezza, lui che prima si sentiva forte e sicuro di sé, ora ha bisogno di altri: di essere guidato dai suoi compagni (At 9,8); di essere evangelizzato e sostenuto da quelli che lui perseguitava: dal discepolo Anania (At 9,10-19), da altri discepoli, che comunque ancora avevano paura di lui (At 9,19b-26), e da Barnaba (“figlio della consolazione”), che lo prese con sé e lo condusse a Gerusalemme dagli apostoli per garantire della sua conversione, vocazione e missione (At 9,27).

b) Ma l’evento di Damasco, come si diceva, è anche evento di vocazione profetica. È per la mediazione del discepolo Anania (che significa “Dio fa grazia”) che il Messia Risorto chiama Saulo per una missione specifica: l’evangelizzazione dei pagani (At 9,15). Anania, dopo aver esitato di fronte al Signore, accetta di accompagnare Saulo nel suo cammino di ripensamento della fede nell’ottica del vangelo del Messia Gesù.

È attraverso la cura umana, di fede e spirituale di Anania che Saulo inizia ad assumere “un’altra visione” della sua vita, della sua fede nel Dio d’Israele, immergendosi e rivestendosi (battesimo) della vita nuova di Cristo, e cominciando a Damasco a testimoniare Gesù Figlio di Dio e ad annunciare il Vangelo (At 9,20.22) con il coraggio profetico che gli deriva dall’azione dello Spirito, sfidando il rischio di essere perseguitato dai giudei.

Nell’evento di Damasco Saulo-Paolo ha sperimentato la presenza della Grazia, della Gratuità di Dio: ricevendo, senza meritarlo, il perdono gratuito, la misericordia, l’accoglienza, il sostegno e la guida dei discepoli del Signore. Questa esperienza della Gratuità di Dio resa visibile e palpabile in Cristo Gesù, Messia debole, perseguitato, crocifisso e Risorto, rimarrà come un segno indelebile nella sua esistenza e nella sua evangelizzazione. Lo mostrano le sue testimonianze autobiografiche dell’evento di Damasco in At 22,6-16; 26,12-18; 1Cor 15,9-10; Gal 1,13-17; 1Tm 1,12-16.

(articolo tratto da retesicomoro.it)