Il nuovo Codice di Diritto Canonico (1983) norma espressamente il diritto di fondare e dirigere liberamente associazioni da parte dei fedeli[2].
Il can. 298 stabilisce le tre finalità delle associazioni di fedeli:
La Santa Sede e i Vescovi Diocesani hanno il diritto ed il dovere di vigilare sulla vita delle associazioni, e questo soprattutto in due ambiti: l’integrità della fede e dei costumi, e la disciplina ecclesiastica (can. 305).
Nelle fasi di riconoscimento la prima tappa è il conseguimento di diritto diocesano come “Associazione privata”, che dopo un tempo ad experimentum può ottenere il riconoscimento come “Associazione pubblica”.
Per quanto riguarda il riconoscimento da parte dell’autorità della Chiesa, il Codice di Diritto Canonico distingue diversi gradi di riconoscimento:
Le possibilità di configurazione di una “Associazione di fedeli” dipende dalla sua costituzione interna e non dal “grado di riconoscimento”:
L’approvazione di uno statuto ha sempre delle fasi temporali sia a livello diocesano sia da parte della Santa Sede, passando, secondo la prassi, per un tempo inizialmente ad experimentum che permette sia alla comunità di poter verificare l’applicabilità degli statuti sia alla Santa Sede di aiutare la comunità a trovare i migliori strumenti giuridici per costituirsi e custodire fedelmente nel tempo il carisma ricevuto come “dono comune per l’utilità comune”.
Papa Giovanni Paolo II ha espresso nella Christifideles Laici (n. 30) i Criteri di ecclesialità a cui devono rispondere Associazioni e Movimenti per avere un carattere realmente ecclesiale. Essi sono
« | criteri chiari e precisi di discernimento e di riconoscimento delle aggregazioni laicali, detti anche “criteri di ecclesialità”. » | |
(Christifideles Laici 30)
|
Vengono enunciati quattro criteri di ecclesialità: